5. Conoscersi un po'

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«Giuro che proprio non lo sopporto!», esclamai lasciandomi cadere sul letto. «È così irritante! Non ha alcun diritto di intromettersi nelle mie cose solo perché è il "signore di due ciuffi d'erba"!».

Ero inviperita ma non potevo farci niente: quel ragazzo aveva il potere di farmi letteralmente saltare i nervi! Jane non poté trattenere un sorriso divertito.

«Dai, non mi sembra che abbia detto chissà cosa».

«Ah no? "Mi chiedo cosa ci sia lì che ti interessi tanto... o chi"», dissi scimmiottandolo. «Ti rendi conto? Ha persino insinuato che ci sia un qualcuno ad attirarmi a Londra. Ma come si permette! Perché non pensa semplicemente a farsi i fatti suoi?».

«Dai Lizzy, ti ha fatto solo una domanda».

«È il suo tono che non mi piace. Odio essere presa in giro e lui lo fa costantemente. Con le sue frecciatine, con il suo guardarmi sempre con sufficienza. E quella gentilezza quando sono caduta da cavallo?».

Jane mi fissò confusa.

«Andiamo, è stata una mossa davvero subdola! Mi ha praticamente esibita come un trofeo, vantandosi di aver salvato una "ragazza in difficoltà". Mi ha umiliata!».

«Sono sicura che hai solo frainteso, Liz. Magari voleva davvero essere semplicemente gentile...».

Alzai un sopracciglio guardandola scettica.

«Sì», azzardò. «Magari gli interessi...».

Scoppiai a ridere. «A quello lì? Non sono "abbastanza bella da tentarlo", ricordi?».

Anche lei ridacchiò. «Vero, lo avevo scordato».

«Lasciamo perdere... un giorno o l'altro troverò il modo per vendicarmi, vedrai», dissi risoluta. «Vieni con me in giardino? Mi serve una boccata d'aria».

«Certo».

Passeggiamo per qualche minuto in silenzio, godendo di quel sole raramente così caldo, poi ci sedemmo all'ombra di un vecchio albero.

«Allora, come va con Charlie?», le chiesi a bruciapelo. In quei giorni non avevamo mai parlato di lei e Charlie, ma da quello che avevo visto le cose stavano diventando parecchio interessanti.

«Non saprei», rispose esitante. «È sempre molto gentile e dolce, ma non sono certa di interessargli sul serio».

«Scherzi? Sono più le ore che passa con te che quelle che passa con Darcy e da come ti guarda...». Lasciai la frase in sospeso, volutamente allusiva.

Jane sorrise, gli occhi luminosi. Si era presa davvero una bella cotta.

«E ti ha baciata?».

«Lizzy!». Sgranò gli occhi stupita, forse perché non si aspettava una domanda così diretta. Io scoppiai a ridere e anche lei fece lo stesso.

«Posso sapere anch'io cosa vi diverte?».

La voce di Charlie ci sorprese, facendoci saltare. Jane arrossì imbarazzata ed io mi coprii la bocca con una mano, cercando di smettere di ridere.

«Mi spiace intromettermi, ma ho visto che eravate in giardino e non ho resistito», disse il ragazzo fissando mia sorella. «Spero non ti dispiaccia».

Lei boccheggiò cercando di capire cosa avesse ascoltato della nostra conversazione, ma l'espressione di Charlie mi suggerì che non aveva fatto in tempo a sentire i nostri "pettegolezzi piccanti".

«Niente affatto!», risposi subito scattando in piedi. «Anzi, sei arrivato giusto in tempo per fare un po' di compagnia a Jane: io devo fare una telefonata».

Estrassi il cellulare dalla tasca dei jeans e cominciai ad allontanarmi. «Magari ci vediamo dopo!».

Ovviamente, quella era solo una scusa per lasciarli soli, ma provai lo stesso a digitare il numero di Charlotte. Non la sentivo da quando ero arrivata a Netherfield e avevo voglia di parlare un po' con lei. Accostai il cellulare all'orecchio già pronta a una sana dose di confidenze, ma una voce registrata mi comunicò che il suo era spento. Abbassai pesantemente le spalle sbuffando. Meraviglioso! Adesso che potevo fare? Rientrare in casa non era opzionabile: ero troppo nervosa, in quel momento, per tollerare ancora la faccia di Darcy. Noi due non potevamo stare troppo a lungo insieme nella stessa stanza e per quel giorno avevamo fraternizzato già abbastanza... magari potevo passare dal retro e fare una passeggiata dall'altra parte del parco: era troppo una bella giornata per chiudermi in casa! Ma non feci in tempo a girare l'angolo che la voce stridula di Caroline mi bloccò. Era proprio lì, davanti a me, le mani appoggiate sui fianchi e il corpo mozzafiato appena coperto da un bikini molto mini.

«La giornata è abbastanza calda da azzardare un tuffo in piscina», mi disse sorridente. «Non dirmi che non ti va nemmeno questo!».

La guardai ancora: le cosce lunghe e snelle, il seno prosperoso, la pelle già abbronzata... proprio niente a che vedere con quello che ero io.

«Mi spiace Caroline, ma non ho portato il costume».

«Sciocchezze! Che padrona di casa sarei se non riuscissi a trovare qualcosa che ti stia bene? Su, vieni con me», mi disse prendendomi per mano e trascinandomi nella dependance.

Il piccolo edificio, al contrario della villa, era arredato in modo più moderno e comprendeva un angolo bar, un salottino e due enormi armadi pieni – come ebbi subito modo di scoprire – di costumi da bagno di varie misure e colori, accappatoi, corti prendisole e mini-shorts.

«Qui dovremmo trovare qualcosa che faccia al caso tuo», disse Caroline cominciando a rovistare tra i cassetti. «Sei abbastanza piccolina. Porti la seconda, vero?».

Annuii improvvisamente imbarazzata. Chissà perché quella domanda mi sapeva tanto di "frecciatina".

«Bene. Questo dovrebbe andarti», disse ancora tirando fuori un due-pezzi di un azzurro molto chiaro con motivi leggermente più scuri. «Dovrebbe stare bene anche con la tua carnagione chiara».

Ed ecco un'altra frecciatina.

«Dovresti fare delle lampade ogni tanto», continuò la ragazza. «Un po' di colore ti farebbe sicuramente sembrare meno anemica».

Anemica?

«Hai ragione Caroline». Mi stavo irritando. «Non tutte riescono a essere perfette quanto te».

Lei sorrise, scambiando forse le mie parole per un complimento. «Su, indossalo. Ti aspetto fuori».

"Dannazione!", imprecai tra me. Come ero finita in quella casa, in compagnia di quell'arpia? Come diavolo era successo?

Feci un respiro profondo e staccai l'etichetta che pendeva ancora da una delle bretelline poi, dopo aver posato il costume sul divano, iniziai a spogliarmi. Lo indossai in fretta e osservai la mia immagine riflessa nell'enorme specchio appeso alla parete. Anemica... dovevo ammettere che Caroline era stata fin troppo gentile. Mi era sempre piaciuto il contrasto tra i miei capelli neri e la palle così chiara, eppure Caroline me lo aveva appena fatto diventare un difetto. Svogliatamente, presi uno dei mini-shorts dall'armadio e lo infilai insieme a un paio di infradito un po' più grandi della mia misura poi, prendendo coraggio, uscii.

«Sapevo che ti sarebbe stato bene!», esclamò Caroline vedendomi. «Certo, ti sarebbe stato molto meglio se avessi avuto un po' di colore in più, ma va bene così. Tu che ne dici Will?».

Sussultai non aspettandomi che ci fosse anche lui. William fece capolino da una delle sdraio a bordo-piscina e rivolse svogliatamente lo sguardo verso di me poi, dopo un breve istante, si girò di nuovo senza rispondere. Avvampai per l'imbarazzo e Caroline sorrise compiaciuta per il totale disinteresse che William aveva appena mostrato.

«Liz, ti va di fare un tuffo?», mi chiese ancora lei.

«S-sì», balbettai meccanicamente. Se avessi saputo che c'era anche lui, non avrei mai accettato la proposta di Caroline. Dio, quanto odiavo quel ragazzo e quel suo sguardo superficiale e arrogante!

William alzò di nuovo il viso e mi fissò.

... Non è abbastanza bella da tentarmi...

Quelle parole mi colpirono ancora. Perché mi bruciavano così tanto? Non avevo bisogno di piacere a William Darcy, eppure...

«Will, tu non vieni?», gli chiese Caroline con la sua voce cristallina.

Darcy spostò pigramente lo sguardo su di lei. «Credo sia meglio di no Carol. Non vorrei essere di troppo».

Lei lo guardò incerta.

«Che intendi dire?», gli chiese mentre, seducente, accarezzava la superficie dell'acqua con la punta del piede.

«Se hai chiesto a Lizzy di unirsi a te è perché stai cercando di approfondire la tua amicizia con lei, oppure perché stai cercando di metterti in mostra e attirare la mia attenzione», le rispose subito William. «Nel primo caso sarei sicuramente di troppo. Nel secondo... ti assicuro che posso guardarvi molto meglio restandomene qui».

«Ma che impudente!», esclamò lei, fingendo di essere sconvolta e offesa dalle sue parole. «Pensare questo di me!».

In effetti, ero convinta anch'io che Caroline stesse solo cercando di provocarlo.

«Come credi che potrei punirlo, Elizabeth?».

Punirlo? Non mi piaceva la piega che stava prendendo quella conversazione. Se voleva giocare con lui, non c'era bisogno che coinvolgesse anche me. Non ero disposta ad assecondarla.

«Ignoralo», risposi scrollando le spalle con indifferenza e sperando che questo bastasse a tirarmi fuori.

«E credi che potrei riuscirci?», chiese fissandolo maliziosamente. Darcy sembrò stare al gioco.

«Ti assicuro che è il modo migliore per punire un uomo», insistetti. «Quello o ridere di lui».

«Oh no! Sarebbe del tutto impossibile».

«Io invece credo che sarebbe possibilissimo. È pur sempre solo un uomo e come uomo è sicuramente pieno di difetti».

«No Lizzy, assolutamente», disse ancora lei non accennando a distogliere lo sguardo da Darcy. «Will non ha difetti».

E per l'ennesima volta mi venne la nausea.

«Ah, no?», insistetti. «Mi viene difficile crederlo».

«Dico sul serio Lizzy, non c'è niente in lui che non sia perfetto».

Roteai gli occhi, spazientita e disgustata. Quella ragazza era completamente senza speranza. Perché non se lo portava in una delle stanze della villa e la faceva finita lì?

«Beh, io non sono dello stesso parere». Adesso non ne potevo davvero più. «Anzi, credo che abbia uno dei difetti più brutti che esistano».

Darcy si tirò finalmente a sedere e mi fissò. Inevitabilmente i miei occhi scivolarono dal suo viso al suo torace ampio, per poi scendere lungo gli addominali scolpiti seguendo la sottile linea scura che, da poco sotto l'ombelico, andava a sparire oltre l'elastico del costume. Dovevo ammettere che Caroline non aveva poi tutti i torti a morirgli dietro: se non volevamo considerare il suo carattere impossibile, era davvero un ragazzo "notevole".

«In realtà ne ho molti», disse, un mezzo sorriso a curvargli le labbra. «Ma sono curioso di sapere quale hai evidenziato tu tra i tanti».

Alzai di nuovo lo sguardo sul suo viso, studiandolo per un attimo. Mi stava per caso provocando? Non ci avrei perso niente a sputargli addosso tutto quello che pensavo di lui.

«Orgoglio».

«Orgoglio?», ripeté William confuso. «Cosa c'è di sbagliato nell'essere orgogliosi di se stessi... di quello che si ha, di quello che si è?».

«Lo sbaglio sta nell'ostentazione», risposi secca. «Quando l'orgoglio è talmente smisurato da renderti cieco e indifferente nei confronti degli altri».

«Cosa ti fa credere che io sia indifferente?».

«Oh, andiamo!», esclamai con sdegno. «Hai perennemente quell'aria annoiata e stizzita. Guardi tutti con maleducata sufficienza dall'alto del tuo piedistallo e non vedi nessuno veramente. Il tuo sguardo è superficiale».

Caroline mi fissò scioccata, come se stessi commettendo un peccato mortale a rivolgermi a Darcy in quel modo. Io la ignorai.

«Credimi William, ho cercato sul serio di capirti ma proprio non ci riesco».

«Ammetto di avere un pessimo carattere, ma ti assicuro che non ho uno sguardo superficiale come pensi tu. Le osservo molto bene le persone. E le peso anche».

«Ah, sì?», gli chiesi con sarcasmo.

«Sì. E forse è proprio questo il mio peggior difetto».

Lo guardai senza capire.

«È vero che sono selettivo nella scelta dei miei amici. Mi fido poco di chi ho davanti e soprattutto non sono capace di dimenticare un torto subito, non riesco a perdonare e sono bravissimo nel portare rancore».

Rimasi qualche secondo in silenzio, riflettendo sulle sue parole.

«Quindi, potremmo dire che il tuo peggior difetto sia la propensione a odiare il prossimo».

Per un attimo provai quasi pietà per lui. Che uomo poteva essere uno abituato ad erigere tanti muri intorno a sé, a non fidarsi di nessuno, ad allontanarsi da chiunque? Essenzialmente era un uomo solo, anche se per scelta. Ed era triste. Profondamente triste.

«Ed è vero che, su questo, non c'è proprio niente da ridere», conclusi.

«E il tuo è quello di ostinarti a fraintenderlo», commentò William scuotendo la testa. «Sei davvero disarmante Elizabeth Bennet».

Avevo davvero frainteso come insinuava lui? Fissai quegli occhi che mi fissavano a loro volta con una strana intensità e, sotto lo sguardo irritato di Caroline, accennai un timido sorriso.

Da quel giorno, io e William non ci rivolgemmo molto spesso la parola.

Fu come se quella chiacchierata fatta in piscina ci avesse allontanati ancora di più anziché avvicinarci, ma in fondo era anche giusto così: troppo diversi io e lui, troppo distanti. E mentre tra noi cresceva l'indifferenza, l'umore di Caroline "inspiegabilmente" cambiava. Diventò più allegra, più solare, più rilassata nei miei confronti e io sospettai che fosse stata proprio la situazione tra me e Darcy ad addolcirla. Era rimasta troppo soddisfatta della nostra accentuata "divergenza d'opinioni" e di quanto poco ci calcolavamo e, in qualche modo, era come se si sentisse sollevanta... di cosa, non sapevo. Temeva che potessi essere una minaccia per lei? Mi rifiutavo persino di pensarlo. Come poteva credere che mi sarei mai interessata a un misogino arrogante come lui?

Jane e Charlie, invece, si erano avvicinati molto in quei giorni. Lui cercava sempre un pretesto per stare con noi femminucce e avere la possibilità di starle accanto, tanto che Jane finì per far più compagnia a lui che a Caroline. Ma lei non sembrò dispiacersene così occupata a distrarre il suo Darcy perché, adesso che il suo "compagno di giochi" aveva spostato l'attenzione su mia sorella, non poteva certo farsi scappare la succulenta occasione di averlo tutto per sé.

Ovviamente nel mezzo rimanevo io, troppe volte annoiata o a disagio per riuscire a inserirmi. Passavo la maggior parte del mio tempo in biblioteca o in giardino, o a cavallo, cose che – a parte per l'enorme varietà di testi a disposizione negli scaffali della biblioteca – potevo fare benissimo anche a casa, quindi fui ben contenta di tornare quando finalmente la "vacanza" finì. Certo, un po' mi dispiaceva per Jane che doveva rinunciare alla compagnia di Charlie ma, per come si stavano mettendo le cose, era più che probabile che si sarebbero rivisti molto presto. Li avevo beccati a baciarsi almeno un paio di volte e, anche se non ero sicura che stessero insieme, ero certa che ci avrebbero messo davvero poco a rimediare.

Anche William sembrò sollevato di sapere della nostra partenza. Lo avevo visto un po' sulle corde negli ultimi giorni e avevo pensato che fosse soprattutto colpa dell'asfissiante Caroline che proprio non gli dava tregua, ma notai che quando salimmo di nuovo in macchina per essere riaccompagnate a casa da Charlie, il suo volto si rilassò. Pensai che in fondo non era nemmeno troppo strano: non eravamo spiriti affini e ne avevamo avuto la prova proprio in quella settimana di convivenza forzata... probabilmente l'antipatia nei miei confronti era cresciuta proporzionalmente alla mia nei suoi, ed era ovvio che si sentisse più a suo agio adesso che mi toglievo dalle scatole.

Dovevo ammettere che, comunque, anche io pensavo la stessa cosa. Da quando lo avevo conosciuto quella prima volta, mi ero ripromessa di non vedere più William Darcy e il destino si era mostrato fin troppo avverso a quel proposito, creando fin troppe occasioni per farci incontrare. E, ora che tornavo a casa, ero ancora più decisa a starmene il più lontano possibile da quel ragazzo.

«Pensavo vi sareste trattenute ancora qualche altro giorno», disse nostra madre quando ci aprì la porta.

La sua reazione era stata esattamente quella che mi ero aspettata: aveva sorriso a Charlie come se avesse visto il sole, aveva guardato confusa mia sorella e lanciato un'occhiataccia a me.

«È successo qualcosa?».

Jane le stampò un bacio sulla guancia.

«Mi mancava casa».

Mamma la guardò scettica.

«Scommetto che sei stata tu a insistere», disse rivolgendosi a me.

Alzai gli occhi al cielo sospirando ma non accolsi la sua provocazione, preferendo andare dritta di sopra a posare le valigie. Sulle scale, seduta con un libro aperto sulle ginocchia, c'era Mary.

«Vi siete divertite?», chiese senza spostare lo sguardo dalla pagina che stava leggendo.

Mary, la terza delle sorelle Bennet, era diversa da ognuna di noi. Certo, tutte avevamo interessi particolari e un carattere che ci distingueva l'una dall'altra, ma lei era davvero diversa. A volte sembrava vivesse in un mondo tutto suo, in cui c'era spazio solo per lei e per i suoi libri. Amava leggere e non solo i soliti romanzetti d'amore. Aveva un singolare interesse per la scienza e la filosofia, per Eraclito soprattutto e per Aristotele, e forse era proprio per queste sue letture così impegnate che, in un certo senso, si discostava così tanto da noi.

Quei maestri greci le avevano insegnato l'arte del pensare – come diceva lei stessa – e aveva imparato a non aprire bocca se non per dire qualcosa che doveva essere più che sensato. Ovviamente, ciò che era sensato per lei non sempre lo era per il resto della famiglia, soprattutto per le gemelle e nostra madre che spesso la guardavano come se stesse solo farneticando.

«Diventerai una vecchia zitella pazza di questo passo», la prendeva in giro Lidya mentre Kitty rideva.

All'inizio Mary ci rimaneva male, poi aveva cominciato ad abituarsi a quegli stupidi commenti e ora le ignorava soltanto. Diventava così quasi un'ombra in quella casa, evitata a volte e derisa, che riusciva a sfogarsi solo torturando il piano.

«Non eccessivamente», confessai. «O almeno non io».

«Le gemelle sono molto eccitate per il ballo», aggiunse, sempre senza distogliere lo sguardo dal libro. «Hanno già messo sottosopra il tuo armadio e quello di Jane, cercando qualche vestito da potervi rubare».

«C'era da aspettarselo». Sospirai già immaginando il caos che avrei trovato nella mia stanza. «Grazie per avermi avvertita. Non voglio nemmeno pensare a quello che hanno combinato».

Mary si strinse nelle spalle con indifferenza.

«Hanno convinto la mamma a fare nuovi acquisti. Mi sa che ti toccherà accompagnarle».

«Grandioso...», farfugliai riprendendo a salire le scale.    

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